Tsunami 2004. L' Abitudine Del Ricordo
26 dicembre 2004, come non ricordare le immagini di quel tragico evento? Ero a cena, a casa di un’amica di famiglia e la televisione accompagnava le risate e i classici giochi delle feste natalizie.
La mia attenzione fu attirata dall’insieme di scene di persone che piangevano e alberghi di lusso inondati. Pensai inizialmente ad una pubblicità progresso o ad un servizio delle zone del Medio Oriente e invece col passare dei minuti mi resi conto di quello che realmente era successo.
Nei giorni successivi passai buoni minuti su internet a cercare foto e video dell’acqua che sommergeva i palazzi. Era l’elemento, l’immagine che mi aveva colpito. L’acqua che sommergeva i palazzi e gli alberi, dai video amatoriali non si percepiva un’onda veloce e fulminea, ma una grossa massa voluminosa celeste che lentamente e semplicemente passava, distruggeva.
La forza della natura. Molti amici fecero i commenti che le persone che erano sulla spiaggia se l’erano cercata, perché un’onda di 20 metri è difficile da non notare, infatti bagnanti in prossimità del mare morirono proprio perché si fermarono a riprendere o ad osservare.Mi ricordo poi dei giorni successivi, il senso di urgenza e di solidarietà. Nella parrocchia, nella circoscrizione di quartiere, nella sede della mia facoltà universitaria le raccolte di cibo, vestiario, giocattoli, beni di prima necessità. All’università ci fu anche una visita di alcuni angeli blu dell’Unhcr.
Le immagini televisive dell’intervento della Protezione Civile. Ogni programma televisivo e pubblicitario mandava il numero di cellulare o dei conti correnti per inviare aiuti alle popolazioni.
Le scene delle donne, dei bambini e degli anziani rimasti senza casa, privati dei luoghi della loro quotidianità materiale, culturale e spirituale. Mi ricordo tutto questo e poi da quella tragedia i successivi avvenimenti catastrofici naturali. Tra guerre e terremoti, successe anche qualche cosa oltre al dispiacere, subentrò l’abitudine delle immagini e in qualche modo lo spegnersi di quel sentimento di urgenza, di dispiacere. Una donna sofferente in Sri Lanka, una donna sofferente in Medio Oriente per la guerra, una donna sofferente ad Haiti, divennero tutte uguali. E’ l’effetto della troppa mediatizzazone, dell’immagine schiaffo che ti arriva dallo schermo, dai giornali, dal monitor dei computer tramite internet. Quando vivi l’emozione del dispiacere e della solidarietà sull’onda della ridondante e continua immagine mediatica succede questo che con l’obiettivo si spegna anche la nostra attenzione e subentra involontariamente l’indifferenza.